06-11 LUG – LE TERRE DEGLI ACHUAR

le terre degli achuar

incontro con una comunitÀ indigena dell’amazzonia ecuadoriana

Lasciata Cuenca, ci dirigiamo verso quello che gli ecuadoriani chiamano “Oriente”, ossia la regione amazzonica del paese, che sta al di là della cordigliera delle Ande e che ha come limiti orientali le frontiere con Perù e Colombia. Il nostro “campo base” è la cittadina di Macas, e da lì riusciremo ad entrare per qualche giorno nella foresta amazzonica, visitando una missione di padri salesiani che da più di trent’anni anni lavora con la popolazione di etnia Achuar.

Gli Achuar sono una comunità indigena che, vuoi per forti motivazioni ideologiche, vuoi per essersi insediati in zone isolate e difficili da raggiungere, sono riusciti a mantenere la loro identità etnica e culturale piuttosto intatta, così come il paesaggio amazzonico in cui vivono. Questo non deve farceli immaginare come – detto grossolanamente – dei “primitivi” ignari del resto del mondo, ma come comunità in continua lotta con le contraddizioni e i compromessi della globalizzazione. Comunità che scelgono consapevolmente, ad esempio, di installare nei loro villaggi delle sale con computer e accesso a internet ma rifiutano, altrettanto consapevolmente, di far costruire strade nel cuore della foresta o di far entrare compagnie petrolifere o minerarie. Verso i turisti stranieri in visita si mostrano spesso abbastanza diffidenti, per paura che si tratti di infiltrati di multinazionali, e per questo è piuttosto difficile visitare queste zone in autonomia.
Noi ci siamo appoggiati appunto ai padri salesiani, che nelle zone Achuar hanno fondato scuole, centri di salute e centri di aggregazione, grazie ad un contatto (il sogno iniziale!) avuto da mia zia Delia, che anni fa aveva lavorato proprio in queste zone come volontaria. Fin da bambina ero sempre rimasta affascinata dai suoi racconti e dalle immagini che mi ero fatta di queste terre…e ho sempre avuto il sogno nel cassetto di venire un giorno a vederle con i miei occhi. Che emozione vivere passo passo questo sogno che si avvera!

la missione di wasak entsa

Come dicevo, per entrare in foresta abbiamo fatto base a Macas, dove siamo stati accolti da Vicente Molina, presidente della fondazione Chankuap (di cui parlerò in seguito) e ospitati nella casa “Padre Silvio Broseghini” , dove tre giovani volontarie fanno assistenza scolastica a bambini e ragazzi in situazioni famigliari difficili.
Il giorno dopo siamo pronti per volare! Sì, perché l’unico modo per raggiungere la comunità di Wasak Entsa è con l’aereo. Stiamo parlando di aerei leggeri, da cinque posti, e dunque dal costo piuttosto elevato. Per ottimizzare i costi bisogna quindi sempre cercare di organizzarsi con altre persone o sfruttare le volte in cui la missione deve far entrare o uscire del materiale. Noi voliamo con due altre volontarie uruguaiane, da alcuni anni in missione.
L’esperienza del sorvolo della foresta amazzonica è qualcosa di unico, che da solo varrebbe il viaggio. Fortunatamente il cielo era terso e abbiamo potuto vedere la grande distesa di selva fino all’orizzonte. Un manto verde che ricopre tutta la superficie visibile. Ogni tanto si scorge qualche macchia rossiccia – un villaggio – o le anse di qualche fiume serpentoso. E poi ancora il verde. Il Polmone Verde del mondo. Dall’alto lo si vede proprio questo polmone, e si percepisce emozionalmente tutta la sua importanza. Vengono i brividi al pensiero di quanto questo ecosistema sia in pericolo e di quante scelte poco coscienziose vengano fatte quotidianamente senza il rispetto di queste terre, da cui dipende l’equilibrio planetario. Terre dove invece da millenni vive un popolo che ha fatto del rispetto per la natura e per tutti i suoi elementi il centro della propria spiritualità e della propria sussistenza.
Dopo 40 minuti di volo arriviamo a Wasak Entsa, dove ci accolgono padre Domingo e i ragazzi della missione.

  • Aereoporto

Quella di Wasak Entsa non è una vera e propria comunità, bensì un’isola scolastica gestita dai padri salesiani, dove ragazzi e ragazze delle comunità della zona vengono per frequentare il collegio (sarebbero le nostre scuole medie/superiori). Noi siamo arrivati che ormai quasi tutti i ragazzi erano tornati a casa per le vacanze e solo rimanevano quelli che dovevano sostenere esami di recupero o le ragazze che ancora non erano state venute a prendere da un parente maschio. Tuttavia siamo riusciti ugualmente a condividere un paio di belle partite di calcio e a farci un’idea di come più o meno sia organizzata la vita qui. Le giornate sono scandite da ritmi piuttosto rigidi, ma quello che fa più specie è che tutte le attività, dal dormire, al mangiare al giocare…siano divise tra maschi e femmine. Ognuno i suoi spazi, rigorosamente invalicabili dall’altro sesso.  Questo, dicono, per evitare l’alto rischio che si formino coppie che scappino e si sposino senza terminare gli studi. Fatto questo che creerebbe non pochi problemi con le famiglie dei ragazzi, che hanno lasciato i loro figli sotto la responsabilità del collegio. Non sta di certo a noi giudicare né tantomeno pretendere di comprendere usi e costumi di un popolo solo attraverso uno sguardo esterno.
Oltre ad osservare i loro ritmi e stili di vita, condividiamo necessariamente anche le loro abitudini alimentari, che ancora oggi sono sostanzialmente basate su ciò che la loro terra gli può offrire (soprattutto yucca e varie qualità di banane) e su qualche animale che riescono a cacciare, a volte unito a qualche prodotto introdotto in grandi quantità dall’esterno, come pasta o riso. E così veniamo accolti con un piatto di Guanta, un grosso roditore notturno, e salutati con un piatto di rane bollite per colazione! Come non citare poi l’immancabile Cicia, compagna di ogni momento di riposo, svago o convivialità. Questa bevanda, che avevamo già assaggiato in Bolivia ma di un’altra qualità, è qui prodotta principalmente con la yucca, che viene prima masticata e poi fatta fermentare. Questa attività è affidata alle donne, che dedicano momenti specifici della giornata a questo processo e che allo stesso modo hanno il compito di servirla costantemente agli uomini.
Onestamente, una bontà.

visita alla comunitÀ di ipiak

Non ci accontentiamo di essere arrivati qui. Vorremmo andare oltre, visitare qualche vero villaggio e camminare un po’ nella foresta. Parlando con un po’ di persone riusciamo a concordare un’uscita per il giorno dopo, quando verremo accompagnati nientemeno che alla comunità di Ipiak, proprio dove aveva lavorato la zia Delia!
È stata una giornata faticosissima, e devo ammettere che avevamo un po’ sottovalutato le difficoltà del camminare nella selva, nonostante le ammonizioni di padre Domingo! Quasi quattro ore di fango, radici, acqua e sterpaglie. Ma soprattutto fango, fino alle ginocchia, che spesso e volentieri ti intrappola i piedi risucchiandoteli tipo sabbie mobili. E poi attraversamenti di paludi su tronchi sottili e instabili. Il tutto a ritmo di Achuar, ovvero senza mai fermarsi! Siamo stati infatti accompagnati da Elvia, studentessa della missione e originaria di Ipiak, che ci ha fatto il favore di accompagnarci, introdurci alla comunità e farci da interprete (la lingua parlata dalla maggior parte delle persone è ancora l’Achuar, nonostante a scuola studino anche lo spagnolo). Elvia è una ragazza sulla ventina, più o meno della mia statura, dalla stazza robusta e i lineamenti seri, che si muoveva nel fango e sui tronchi con una velocità e una leggerezza incredibile…pareva non facesse la minima fatica! Io invece mi sentivo come una persona che sta camminando nel bosco per la prima volta, impacciata come non mai, nonostante l’aiuto di un bastone.
Senza citare il fatto che, circa a metà del percorso, Elvia ci fa notare delle impronte sul terriccio dicendoci con tutta tranquillità: “una tigre è appena passata di qua”. Effettivamente…le impronte erano ben nitide e non erano certo quelle di un gatto!
L’arrivo alla comunità è stato piuttosto strano e un po’ imbarazzante. Era in corso, nella struttura coperta della “piazza principale”, una riunione scolastica tra professori e padri di famiglia, dove la preside leggeva degli articoli di un codice di regolamento statale e li traduceva in achuar. Arriviamo e Elvia ci fa attraversare nel mezzo dei partecipanti, seduti a ferro di cavallo, per stringere la mano al banco delle autorità. Poi ci introduce e spiega chi siamo e perché veniamo. Preside e professori ci salutano e poi ci chiedono di presentarci pubblicamente! Pieni di vergogna spiaccichiamo qualche parola sotto lo sguardo incuriosito di tutta la comunità. Poi ci sediamo per riprenderci un po’ dalla fatica e attendere che finisca la riunione. Nel frattempo ci viene offerta una quantità indicibile di Cicia di tutti i vari livelli di fermentazione e da varie zucche diverse, portate da altrettante diverse donne. Beviamo, all’inizio con gusto e poi per senso del dovere..
Al termine della riunione riesco a parlare con alcuni “anziani” che avevano conosciuto Delia e che hanno condiviso con noi alcuni ricordi. Che bello poter dare finalmente un volto ai racconti!
Dopo questo breve ma emozionante momento siamo andati a casa di Elvia. Sua cugina ci ha offerto del cocco freschissimo e sua mamma del platano verde (una qualità di banane) e uova sode. Mangiamo di buon gusto e piuttosto in fretta, ripassiamo dal centro dove erano iniziati nel frattempo dei tornei sportivi post-riunione (beh…non proprio il modo in cui vanno a finire le riunioni tra professori e genitori in Italia!) e ci rimettiamo in marcia.


Il ritorno è stato davvero interminabile, una fatica paragonabile a quella necessaria per scalare un 5000. Tale da portarti ad imprecare contro la povera Amazzonia e ogni singola pianta che calpesti. Arriviamo a Wasak Entsa alle 6 di sera, giusto prima del tramonto, distrutti ma soddisfatti e consapevoli di aver compiuto un’impresa non facile!

Dopo solo tre notti rientriamo a Macas. Avremmo voluto fermarci almeno un giorno in più ma non sapevamo se e quando ci sarebbe stato un altro volo e allora abbiamo preferito cogliere l’occasione. Rientrati a Macas abbiamo trascorso ancora due giorni in compagnia di Vicente e dei suoi due figli, Ianua e David, con cui abbiamo condiviso tante belle chiacchierate. Come accennavo all’inizio, Vicente è presidente della Fondazione Chankuap, che lavora e commercia materie prime provenienti da contadini Achuar, Shuar e meticci della zona amazzonica, promuovendo uno scambio giusto che valorizzi il lavoro di queste persone. Oltre ad esportare arachidi, cacao, curcuma e altre materie prime, per il mercato interno producono anche saponi, shampoo, creme, sciroppi e fitofarmaci tutti al naturale. Abbiamo visitato la fabbrica e, che dire…un altro progetto coraggioso e interessante che varrebbe la pena sostenere. Clicca qui per saperne di più http://chankuap.org/

  • In viaggio verso macas

Lasciamo l’Oriente col cuore caldo e decidiamo di dirigerci verso la costa, sulle scie della Ruta de los Spondylus, per provare a goderci un poco di mare prima del nostro sempre più imminente rientro.